“Senza lavoro, il talento non ti porterà mai da nessuna parte. Allo stesso modo, il talento da solo non basta a vincere le partite. Bisogna metterlo a disposizione dei compagni e della squadra. Solo così si può vincere per davvero”.

“Ci sono molte squadre, in ogni sport, che hanno grandi giocatori ma non vincono mai titoli. La maggior parte delle volte quei giocatori non sono disposti a sacrificarsi per il bene della squadra. La cosa divertente è che, alla fine, la scarsa disponibilità al sacrificio rende più difficile raggiungere gli obiettivi personali. È mia convinzione profonda che se si pensa e si ha successo come una squadra, i riconoscimenti individuali verranno da sé. Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere un campionato”.

Così diceva la leggenda della NBA Micheal Jordan. Sante parole. Quali si possono collegare facilmente a Lautaro Martinez. Vedendo l'impatto che hanno avuto i suoi precedenti e attuali compagni di reparto, pare evidente che tra le sue qualità migliori ce n'è una di elevata importanza: far risaltare al meglio il suo vicino di banco.

E dire che di talento individuale non gli manca ma - perché non è mai abbastanza, specie per un campione come lui - il Toro non si accontenta "solo" di quello. In questi anni sono stati molti gli attaccanti messi in coppia con Lautaro che hanno beneficiato della sua modalità di gioco.

Il primo è senza dubbio Romelu Lukaku che arrivò da scarto del Manchester United e se ne andò dall'Inter - sicuramente anche per gran merito di Conte - come uno tra i migliori attaccanti in circolazione. Quell'alchimia perfetta che si era creata tra di loro gli ha permesso di essere il grande giocatore che è oggi.

A dimostrazione di questo, si può già intravedere il belga che al Chelsea è, sì, sempre un ottimo giocatore ma, d'altra parte, la sua importanza si è ridotta rispetto a quella che aveva all'Inter. Questo molto probabilmente a causa della minore fiducia che gli ripongono i suoi compagni di reparto. Non sono stati pochi, ad esempio, i palloni potenzialmente da gol non serviti a Lukaku contro il Liverpool che avrebbero permesso ai blues di non pareggiare quell'incontro.

Un altro, che per via della sua fragilità fisica non riesce a dare un impatto maggiore, è Alexis Sanchez. Tutte le volte che il cileno è partito titolare assieme a Lautaro, o è entrato a partita in corso facendo coppia con lui, non ha mai sfigurato. Anzi, spesso è stato molto utile ed essenziale. Questo perché fondamentalmente Lautaro sa come mettersi a disposizione: se con Lukaku deve incalzare il ruolo di seconda punta, con il Niño Maravilla si immedisima nel personaggio di prima punta, senza perdere il suo smalto da fuoriclasse e risaltando il cileno.

Lo stesso si può dire di Correa. Di certo non scopriamo oggi che le qualità del Tucu sono così magistrali ma mai ci saremmo aspettati di vederlo a segno 3 volte, una delle quali arrivata su assist proprio del Toro, in 2 gare. E' noto, infatti, che il neonerazzurro, non abbia mai avuto molta confidenza con il gol nelle passate stagioni e, in generale, in tutta la sua carriera. Eppure, il numero di reti realizzate fin'ora è superiore a quello delle partite giocate.

Ma il suo mettersi a disposizione non finisce qui. Anche se in forma diversa, spesso lo abbiamo visto aiutare anche il resto della squadra. Quante volte lo abbiamo visto ripiegare indietro, sacrificando, per aiutare la squadra? Tante. Anzi, tantissime. E non è roba da poco. Iconica la partita della passata stagione contro l'Atalanta, avvenuta nel girone di ritorno, vinta per 1-0 dai nerazzurri. Tant'è, che poi fu paragonato al leggendario Samuel Eto'o.

Ma in fondo tutto ciò non stupisce - semmai stupisce che non stupisca - più di tanto. D'altronde rendere in gran modo individualmente e, allo stesso modo, aiutare la squadra è quello che fa un leader. Quale, specie ora che non c'è più Lukaku, è. Quale, dando retta alle parole - saggie - di MJ, guiderà la squadra verso la seconda stella.

 

A cura di Manuel Delon


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