Nicola Berti è senza ombra di dubbio uno dei massimi rappresentanti dell’interismo

Nonostante siano passati quasi 25 anni dal suo addio all’Inter, Berti è ancora ricordato e amato dai tifosi interisti come pochi altri. Le ragioni sono sicuramente riconducibili al suo modo di essere assolutamente unico, personaggio divertente e scanzonato, amante delle donne e della bella vita, tutte cose che contribuiscono ad attirare simpatie. Ma non è solo questo, è anche e soprattutto il fatto che Berti è stato un ottimo giocatore, capace di essere protagonista per un decennio con indosso la maglia nerazzurra, e capace, più di chiunque altro, di catalizzare le emozioni e i sentimenti dei tifosi nerazzurri e trasferirle in campo. Quando sbarca a Milano nell’estate del 1988, sono in pochi a pensare che quel centrocampista longilineo con sorriso smagliante e ciuffo ben curato come il suo idolo Elvis Presley, avrebbe fatto la storia del club.

Originario di Salsomaggiore Terme in provincia di Parma, Berti cresce proprio con i ducali, guadagnandosi la Serie A nel 1987 quando è acquistato dalla Fiorentina. Dopo una buona stagione in viola arriva la chiamata dell’Inter, che ne certificherà il valore. Immediatamente fondamentale nello scacchiere di Trapattoni, Berti è uno dei grandi protagonisti dello Scudetto dei Record del 1988/89, anno in cui si rende protagonista di un gol da antologia all’Olympiastadion di Monaco di Baviera, la vecchia casa del Bayern. Dopo aver intercettato un pallone nella propria metà campo Berti parte palla al piede. Carica a testa bassa la difesa bavarese, male allineata e la spacca in due. Percorre 70 metri di campo in volata, sembra un purosangue lanciato ad un galoppo inarrestabile. La corsa continua anche dopo aver depositato il pallone in rete, per andare a prendersi l’ovazione dei tifosi nerazzurri presenti in Germania quella sera, prima di accasciarsi sopra un bandierone nerazzurro con le lacrime agli occhi. Quello è probabilmente l’attimo in cui Berti si prende definitivamente l’Inter. In quella stagione trionfale va a segno anche nel giorno più importante: quello dello Scudetto. È il 28 maggio 1989 e al Meazza l’Inter ospita il Napoli secondo. Il vantaggio degli uomini di Trapattoni è cospicuo, e così questo scontro al vertice diventa per i nerazzurri la possibilità di festeggiare lo scudetto davanti ai propri tifosi. Il Napoli di Maradona non ci sta a fare da vittima sacrificale, e chiude il primo tempo in vantaggio con un golazo di Careca. Ad inizio ripresa la rimette in piedi proprio lui, Nicolino Berti con un destro al volo deviato e per questo catalogato come autogol di Fusi; prima del bolide su punizione di Lothar Matthaus che vale il tricolore.

Momenti di gloria ce ne saranno ancora nelle stagioni successive, con l’ex viola capace di andare a segno nelle finali d’andata di Coppa Uefa 1991 e 1994, rispettivamente contro Roma e Casinò Salisburgo ed entrambe vinte dall’Inter.

Il derby è però la partita che ha consegnato Berti all’immaginario collettivo come interista purosangue. Vero uomo derby, Nicolino si esaltava nelle grandi sfide, in particolare nella stracittadina milanese. Sentenze come “meglio sconfitto che milanista” sono parte della storia di questa rivalità, oltre che musica per le orecchie dei tifosi nerazzurri. Una partita che Berti viveva con una carica diversa, che oggi a qualcuno potrà apparire quasi esagerata, ma che è ne più ne meno l’approccio che ogni tifoso vorrebbe vedere in tutti i giocatori quando è il momento di partite del genere.

 "Oggi sono tutti amici, ma una volta il derby era molto sentito.  Era una 'guerra', ci si dava dentro fino alla morte e ci si insultava, oggi si entra in campo mano nella mano. Nel Derby, ripeto, ci devi mettere il cuore, il sangue...tutto! Con Maldini abbiamo condiviso tanti anni in Nazionale e all'epoca frequentavamo lo stesso locale a Milano. Ma quando io vedevo che c'era lui non entravo, e lo stesso faceva anche lui. C'era molta rivalità, siamo anche rimasti due anni senza parlarci".

Detestato dai tifosi milanisti, Berti è stato però molto apprezzato da un allenatore che ha fatto la storia del diavolo: Arrigo Sacchi. Quando viene nominato c.t. Sacchi pesca per la sua Nazionale dai blocchi di Milan e Parma, escludendo campioni come Bergomi, ma non rinunciando a Berti, che scende in campo in tutte le partite giocate dagli azzurri, compresa la finale persa a Pasadena contro il Brasile.

Protagonista assoluto dagli anni '90 del calcio italiano, Berti ha poi chiuso la carriera nel 2000, a 33 anni anche a causa di alcuni problemi fisici. Dopo 312 presenze e 41 reti in nerazzurro, chiude vestendo le maglie di Tottenham (con cui vince una Coppa di Lega), Deportivo Alavés e Northern Spirit.

Una vita che per raccontarla non basterebbe un libro, tra imprese in campo e aneddoti quasi surreali fuori; come quando Paul Ince appena arrivato dal Manchester United viene invitato da Berti ad una festa nel suo appartamento di Milano, dove tra i presenti figurano Uma Thurman, Joe Pesci e Michael Keaton.

Un personaggio unico e geniale, capace di riunire calciatori, gente comune e star di Hollywood. Un cavallo selvaggio, a briglie sciolte da 55 anni. 

Auguri Nicolino, non abbiamo dubbi che festeggerai a dovere! 
 


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