La sfida tra Inter e Juventus ha sempre un sapore particolare per i tifosi di entrambe le squadre, anche negli anni più bui ed in contesti non proprio competitivi i trascorsi si fanno sentire e la rivalità rimane sempre molto accesa.

Figurarsi quando le due si giocano uno scudetto dopo tanti anni, cosa può succedere.

L'ultima volta che le due squadre si sono confrontate per la vittoria del campionato era l'anno di Sarri alla Juve ed il primo di Conte all'Inter, però era diverso.

I bianconeri avevano un attacco spaziale ed erano nettamente favoriti per la vittoria finale, i nerazzurri si stavano preparando a trionfare l'anno dopo ed i valori in campo erano ancora abbastanza squilibrati, oltre che in quell'annata, a giocarsi il Tricolore con i torinesi, c'è stato per un tempo più prolungato Simone Inzaghi con la sua Lazio.

Proprio Inzaghi è di nuovo il protagonista di una lotta scudetto che pochi si sarebbero immaginati ad inizio stagione, “costretto” a vincere contro un Allegri che quasi pretende di essere inferiore per buttare tutta la pressione sugli avversari.

Alla sfida i due allenatori ci arrivano più o meno allo stesso modo: il buon vecchio Max provoca, Simone non risponde, ma entrambi minimizzano l'importanza della sfida, confermando che il campionato è lungo a prescindere dal risultato del derby d'Italia.

Le due squadre si presentano in un San Siro fomentato e rumorosissimo con i migliori schieramenti possibili, eccezion fatta per Chiesa, che probabilmente non era ancora al 100%, e di Dumfries.

Le formazioni ufficiali.

La partita segue un copione ampiamente prevedibile: i padroni di casa fanno la partita con gli ospiti che aspettano bassi per sfruttare le occasioni in contropiede.

La Juve non pressa alto, piuttosto si preoccupa di limitare passivamente i possessi a Calhanoglu oscurando la linea di passaggio con i due attaccanti.

Facendo così automaticamente diventano determinanti i braccetti, che si sono trovati davanti tantissimo spazio da attaccare palla al piede.

Con Pavard e Bastoni a condurre le mezzali si posizionavano dietro il centrocampo avversario, a quel punto erano i quinti juventini a stringere la pozione difendendo il più possibile le vie centrali del campo, permettendo lo scarico sull'esterno.

La Juventus cercava sempre di impiegare meno giocatori possibili in marcatura sull'uomo per proteggere gli spazi intermedi ed evitare imbucate verso l'ultima linea di pressione, occupata spesso da Lautaro.

Fondamentale Locatelli in questo senso, che poche volte ha preso Calhanoglu a uomo, preferendo schermare il più possibile attacchi centrali proteggendo la linea di difesa.

Contro blocchi bassi di questo tipo sappiamo già chi diventa fondamentale: i braccetti si sono proposti moltissimo anche senza palla ed i bianconeri lasciavano lo facessero, permettendogli crossare dalla trequarti più volte (5 volte in due), forti della loro stazza in area di rigore.

Pavard ha tanto spazio da attaccare.

Il blocco basso juventino che era molto orientato verso la palla chiudendo più spazi possibili, questo permetteva ai nerazzurri di cambiare gioco e prendere campo sul lato debole.

La catena di sinistra è stata spesso un rebus per Allegri: Dimarco e Bastoni ruotavano spessissimo, col primo che si accentrava permettendo al secondo di salire sulla fascia. 

Per come difendevano gli ospiti questo dava spesso all'Inter superiorità numerica sulla fascia perché Gatti era riluttante nel rompere la linea e la coppia Cambiaso-McKennie doveva dividersi tra Dimarco, Bastoni e Mkhitaryan, con Locatelli che, come detto prima, non usciva per non dare linee di passaggio dirette verso le punte.

McKennie a metà tra Bastoni e Mkhitaryan, Locatelli preoccupato di Lautaro.

Nelle sfide precedenti questa riluttanza di Gatti nel lasciare l'area ai soli Bremer e Danilo non era mai stata attaccata: se Cambiaso usciva sul quinto c'era il mezzo spazio libero tra braccetto e quinto, mai sfruttato negli ultimi confronti.

Immagini dal derby d'Italia dell'anno scorso.

In questa sfida invece Mkhitaryan si è buttato spesso in quel “buco”, costringendo i centrocampisti avversari a ripiegare e lasciare il limite dell'area vuoto.

Stesso discorso a destra ma un po' diverso, a fare quel movimento infatti era Pavard invece che la mezzala, confermando un'altra volta come Inzaghi diversifichi l'utilizzo dei suoi braccetti: a sinistra conduzione e possesso, a destra conduzione ed attacco linea.

Ed è proprio con un concetto simile che l'Inter sblocca la gara, Dimarco si fa tutto il campo per occupare lo spazio tra terzo e quinto e Pavard si butta dentro lasciando così Danilo in mezzo ai due uomini.

Palla splendida di Barella e dagli sviluppi nasce l'autogol di Gatti, che si rivelerà decisivo.

Al contrario di quanto si possa pensare, l'autogol non è un episodio fortunato: c'erano ben 8 giocatori della Juve in area, schiacciandosi così è da mettere in preventivo qualche tocco “in più" di un difensore.

Il fischio di fine primo tempo sancisce il termine di una partita, con quello di inizio secondo tempo invece ne inizia un'altra.

La prima frazione infatti si chiude con un 61% di possesso palla per i padroni di casa, 9 tiri a 2 ed un paio di occasioni importanti contro una sprecata da Vlahovic in contropiede.

Nella seconda Allegri finalmente si sbilancia e comincia a giocare di più palla a terra ed a pressare alto, alzando inevitabilmente l'intensità ed il ritmo della sfida e permettendo ai Nerazzurri di poter correre in contropiede.

La costruzione juventina era la stessa vista all'andata, un 4+1 con Gatti che si allargava e Kostic che si abbassava.

In fase di sviluppo invece si tornava ad un 3+1 con Kostic che tornava a dare ampiezza.

Come abbiamo visto spesso nelle partite di Allegri il centrocampo si svuotava, specie quando Locatelli si abbassava sulla linea dei difensori, lasciando vuoto lo spazio tra prima e seconda linea di pressione interista.

I braccetti uscivano sulle mezzali, Yildiz era senza ruolo, poteva scendere a prendere palla quando voleva e non aveva marcatura a uomo.

A dare ampiezza a destra invece era, solitamente, Cambiaso, che partiva largo dalla posizione di quinto per poi accentrarsi permettendo a McKennie di calpestare la linea laterale.

Il problema della Juve era uno, principalmente: la manovra era troppo lenta e prevedibile.

Yildiz non si è mai acceso non dando quel contributo imprevedibile tipico del suo gioco ed in campo la Juve non aveva grandi individualità, in quel senso.

L'unico creativo con la palla era Cambiaso, che però non è mai entrato in partita.

Questo ha reso le cose molto facili all'Inter quando si chiudeva nel suo blocco basso, con la Juve che non ha mai trovato lo sbocco giusto per creare grossi pericoli.

Nelle ultime loro uscite abbiamo visto spesso il braccetto (Danilo il più accreditato) salire sulla linea dei centrocampisti, aiutando di molto il giropalla e rendendolo più verticale, una soluzione mostrata poche volte domenica.

Quell'unica occasione in cui la Juventus si è mostrata un poco fluida è riuscita a creare un buon tiro dal limite dell'area proprio di Danilo, ma poco altro.

Un altro problema per gli ospiti, una volta che hanno deciso di utilizzare un assetto più offensivo, era la fase di riaggressione.

Fase fatta benissimo dai nerazzurri, che hanno concesso poche ripartenze specie nel primo tempo e segnando un ottimo risultato nel dato dei PPDA.

I bianconeri invece erano spesso confusionari e messi male in campo, peccando molto nelle preventive e permettendo troppe transizioni facili alla squadra di Inzaghi, che ha rischiato di segnare il secondo gol almeno tre volte, dimostrandosi però leziosa e poco cinica.

La Juve tenta di riconquistare il possesso ma nessuno sale su Mkhitaryan, 5v4 sfruttato bene dall'Inter.

Discorso simile per il pressing alto una volta alzato il baricentro.

La pressione era uomo su uomo ma, anche qua, disordinata ed impostata male.

Appena la linea di difesa si alzava l'Inter riusciva ad allargare le maglie per trovare finalmente le punte e risalire il campo facilmente creando ottime transizioni artificiali.

Alla fine, come sottolineato da Inzaghi nel post partita, Sommer ne è uscito “bello risposato”: 1 solo tiro in porta per la squadra di Allegri e la sensazione che, una volta sbloccata la partita dall'autogol di Gatti, non potesse ribaltare il risultato contando sulla propria manovra di gioco.

Un tema ricorrente quando si tratta di affrontare squadre organizzate in fase di non possesso ed un limite non da poco se i bianconeri vogliono puntare allo scudetto.

Di certo lavorando per giocare solo una volta a settimana Allegri, grazie all'ottima squadra che ha tra le mani, ha tutte le carte per rimanere ai piani alti della classifica senza problemi e c'è da dire che rischia pochissimo dietro, ma la sensazione al momento è che sia l'Inter la principale rivale di sé stessa, visti i valori in campo mostrati domenica sera.

Il campionato però come ampiamente sottolineato da ogni tesserato nerazzurro è ancora lungo e l'imprevisto è dietro l'angolo, sarà determinante vedere quanto durerà il percorso in Champions (e quante forze vorranno impiegarci i giocatori) ed il rendimento della Juventus soprattutto nei big match.

Al momento la concentrazione deve rimanere alta e la prerogativa è arrivare alla sfida con l'Atletico con sole vittorie nel 2024 potendo ancora lavorare una volta a settimana.

Prossima tappa: Roma di De Rossi, in un confronto che dovrà confermare le ottime sensazioni che quest'ultimo derby d'Italia ha lasciato.


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