Angelo Domenghini con la maglia dell'Inter (Instagram)
Angelo Domenghini con la maglia dell'Inter (Instagram)

La nazionale azzurra che arrivò al campionato d’Europa del 1968 non era un’Italia qualunque. Si trattava infatti di una selezione che aveva un compito molto arduo da compiere: far dimenticare la disfatta di due anni prima al mondiale giocato in Inghilterra. Sì, quella squadra che sarà campione d’Europa, un po’ a sorpresa, all’Olimpico di Roma, era la risposta alla nazionale che perse contro la Corea del Nord. Una sconfitta che, fino a quella del 2002 contro la Corea del Sud, rimase nella storia del calcio italiano come la peggiore di tutte, la più vergognosa.

Con questo fardello sulle spalle, Valcareggi si presentò al campionato d’Europa per cercare di invertire la rotta. Ad aumentare la pressione, come se ce ne fosse bisogno, si aggiunse anche l’organizzazione: sì, perché la fase finale della terza edizione dell’Europeo venne disputata proprio in Italia. Erano tre gli stadi messi a disposizione dalla federazione: l’Olimpico di Roma, il Comunale di Firenze e il San Paolo di Napoli. Come da consuetudine per l’epoca, il Paese ospitante doveva ospitare solamente le semifinali e le finali.

Tu chiamala se vuoi…fortuna

Il primo ostacolo che l’Italia si trovò davanti fu la temutissima Unione Sovietica. Campioni nel 1960, secondi quattro anni più tardi e quarti al mondiale inglese, i sovietici erano tra i favoriti per la vittoria finale. Gli Azzurri guidati da Valcareggi però volevano ben figurare davanti al pubblico di Napoli dopo la rimonta che aveva portato l’Italia a ribaltare la sconfitta subita a Sofia contro la Bulgaria proprio tra le mura dell’allora San Paolo.

Ben messa in campo, l’esperta formazione sovietica non venne scalfita dagli attacchi italiani, tanto che il risultato al termine dei novanta minuti fu di 0 a 0 nonostante l’inferiorità numerica, come avrebbe ricordato tempo dopo il portiere di allora, Dino Zoff: “Siamo rimasti in dieci uomini dopo cinque minuti perché [Gianni] Rivera si è infortunato. A quel tempo non c'erano sostituzioni, quindi abbiamo dovuto giocare praticamente tutta la gara in dieci. Ci siamo concentrati molto sulla difesa”.

Anche i supplementari seguirono lo stesso andazzo, nonostante i tentativi portati avanti dai due nerazzurri Sandro Mazzola e Angelo Domenghini, con quest’ultimo che colpì anche un palo, il risultato non si sbloccò.

All’epoca i calci di rigore non erano ancora previsti, ma un vincitore doveva uscire dalla sfida tra le due squadre e quindi si optò per il lancio della monetina. L’arbitro tedesco Kurt Tschenscher chiamò i due capitani negli spogliatoi per decidere il risultato con il lancio della monetina: “Con il capitano sovietico siamo scesi negli spogliatoi, accompagnati da due dirigenti di entrambe le squadre – raccontò il capitano azzurro e giocatore dell’Inter, Giacinto Facchetti - l'aribitro tirò fuori una vecchia moneta e chiamai 'croce'. Uscì 'croce' e l'Italia si qualificò per la finale. Feci di corsa le scale verso lo stadio dove 70.000 spettatori aspettavano con il fiato sospeso di conoscere l'esito. La mia gioia fu il segnale che si poteva fare festa per la vittoria dell'Italia”.

Finale? No, meglio due!

Dopo la fortunosa vittoria con l’URSS, ad aspettarla in finale l’Italia trovò la Jugoslavia, capace di sconfiggere a Firenze l’Inghilterra campione del mondo in carica. La squadra guidata dal tecnico Mitic andò in gol sul finire del primo tempo. L’Italia faticò per il resto dell’incontro a trovare la via del gol, che arrivò a dieci minuti dalla fine grazie a una punizione, battuta ad occhi chiusi, di Domenghini. Ancora una volta, al termine dei 120 minuti il risultato fu di parità. Trattandosi di una finale, non era possibile decidere l’assegnazione di un trofeo tramite il lancio della monetina, quindi si rigiocò il match.

Due giorni dopo, sempre all’Olimpico di Roma le squadre si affrontarono di nuovo: Mitic cambiò un solo uomo, Valcareggi ben cinque. Il risultato diede ragione al turnover del tecnico italiano: 2-0, reti di Riva e di un giovanissimo Anastasi e Italia campione d’Europa. Ad alzare il trofeo furono in tutto quattro nerazzurri: oltre ai già citati Domenghini, Facchetti e Mazzola, anche lo stopper Burnich prese parte alla competizione.

Per trovare un altro nerazzurro campione d'Europa, dopo Suárez e i quattro italiani bisognerà attendere addirittura fino al torneo in Belgio e Olanda del 2000.

Federico Sanzovo


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