In una lunga intervista rilasciata a “La Gazzetta dello Sport”, Javier Zanetti ricorda Sinisa Mihajlovic, tragicamente scomparso nella giornata di ieri a causa di una leucemia con cui stava combattendo da più di tre anni. 

Durante la carriera aveva vestito la maglia dell'Inter per due stagioni (dal 2004 al 2006), mentre poi per un periodo era stato il ‘secondo’ di Mancini.

Queste alcune dichiarazioni dell'ex capitano nerazzurro: “Lo conoscevo già per la sua ottima carriera nella Stella Rossa, il club con cui aveva vinto la Coppa Campioni, e con la Roma. Quante battaglie contro di lui... Era un difensore molto forte, adesso va di moda la costruzione dal basso e lui con quel piede costruiva benissimo anche perché aveva iniziato da terzino. E quando calciava le punizioni, era pazzesco. Quando venne a giocare all’Inter, faceva delle grandi sfide ad Appiano Gentile con Recoba e poi con Veron”. 

Prosegue: "Innanzitutto pensavo che fosse un uomo di grande personalità. E poi un lottatore. Quando giocavo contro Sinisa, ero contento perché le sfide contro i calciatori grintosi mi piacevano. Lui non mollava mai. 

Gli piaceva fare gruppo, sapeva scherzare ed era sempre molto positivo. Ricordo la gioia quando vincemmo una Coppa Italia grazie a un suo calcio di punizione. Sia da compagno sia da allenatore è stato una persona vera. Ha sempre mostrato grande personalità e carattere. Un uomo leale. Avere gente così nello spogliatoio alzava il livello del gruppo. Per vincere servono persone come Sinisa, che veniva sempre fuori nei momenti di difficoltà". 

Poi: “Per carattere Sinisa era diverso da me. Ma stare con lui mi piaceva ed entrambi lavoravamo per il bene del gruppo. Questa era una cosa che ci univa tantissimo: capire di cosa avevano bisogno gli altri ragazzi nello spogliatoio. Un’altra cosa che avevamo in comune era la voglia di vincere: per noi l’allenamento e la partita erano la stessa cosa, ci impegnavamo sempre al massimo. E non dimentico che con il suo arrivo all’Inter è iniziato il nostro ciclo. Sinisa non era diplomatico, però non mi è mai capitato di pensare che avrebbe potuto evitare di esprimere un concetto magari con modi troppo diretti. Intanto provavo un grandissimo rispetto nei suoi confronti e poi raramente diceva qualcosa fuori luogo. Ogni sua parola aveva un senso. Sicuramente la guerra nei Balcani aveva lasciato dentro di lui un segno evidente. Sinisa era un uomo profondo, ricordo molte sue riflessioni sulla guerra e sulla malattia”.


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