Domenico Morfeo con la 10 nella stagione 2002-2003 (Instagram)
Domenico Morfeo con la 10 nella stagione 2002-2003 (Instagram)

Il numero dieci rappresenta il sogno di moltissimi bambini. È il numero, ancora oggi, del più talentuoso della squadra. Nell’epoca dei numeri liberi, dei 99, dei 45, il fascino del 10 resiste nell’immaginario collettivo. Anche se oggi è un po’ diverso il ruolo che ricopre chi indossa quella maglia, rispetto ai tempi in cui divenne mitico, la dieci resta sempre la maglia che si dà a chi ha quel non so ché di estro in più.

Lautaro Martínez, per esempio, è un perfetto esempio di dieci dei nostri tempi: è un attaccante, ma è anche un giocatore dotato di moltissima tecnica. Insomma, più funzionale che spettacolare, ma pur sempre un calciatore in grado di sfoderare il numero giusto al momento giusto.

Proprio a proposito del suo numero di maglia, l’argentino ha parlato a La Nacion: “Quando venne fuori l’Inter, il direttore sportivo venne a visitarmi a Buenos Aires. In quella chiacchierata gli chiesi se il 10 era libero. Mi disse ‘bene, bene, vediamo'. Quando andai a Milano per firmare il contratto me lo chiesero di nuovo e io insistetti che volevo il 10. Mi dissero 'guarda, il 10 è stato indossato da Ronaldo, Baggio, Sneijder, questo, quell'altro...'. Ho detto loro di sì, che ero consapevole, ma che mi piaceva la sfida: 'Lo voglio'. E me l'hanno dato”.

Le remore dei dirigenti dell’Inter, poi rivelatesi inutili, sono però fondate appunto dal passato pesante che ha quella maglia. Campioni del calibro dei citati Ronaldo, Baggio, Sneijder, ma anche Seedorf, Adriano non sono stati certo degli improvvisati. Tutti, a loro modo, hanno fatto la storia recente del calcio e dell’Inter.

Ci sono stati però altri numeri dieci prima di Lautaro che, forse, non tutti ricordano ma che, così come i fenomeni citati prima, non devono essere dimenticati.

Benny Carbone e Mimmo Morfeo

Quando, il 27 agosto 1995, i calciatori scesero in campo per la prima giornata del campionato di Serie A, i tifosi si trovarono davanti a una grande novità: i numeri fissi e il cognome sulle maglie. Dall’introduzione della numerazione nel 1939 “per facilitare al pubblico il piacere di individuare i protagonisti degli episodi di gara”, le divise dei calciatori non avevano subito modifiche di nessun tipo. La numerazione era sempre stata fissa, come spiegava la Gazzetta dello Sport: “Si ricorda che i numeri sono assegnati nel seguente ordine: 1 portiere, 2 terzino destro, 3 terzino sinistro, 4 mediano destro, 5 medio centro, 6 mediano sinistro, 7 ala destra, 8 interno destro, 9 centrattacco, 10 interno sinistro, 11 ala sinistra”.

Da quel giorno d’estate del 1995, però, tutto è cambiato e i calciatori hanno potuto scegliere il numero che preferivano. Il primo a optare per la dieci dell’Inter fu Benito Carbone. Arrivato dal Napoli, Boskov disse di lui: “Benny Carbone con sue finte disorienta avversari ma anche compagni”. Una citazione che apre, ancora oggi, la sua pagina Wikipedia. Carbone giocò due stagioni in maglia nerazzurra prima di cercare (e trovare) fortuna in Premier League: lo score del numero dieci di Reggio Calabria fu di 41 presenze e tre reti in una stagione e poco più.

Dopo Carbone, la maglia numero 10 passò prima a Ronaldo, poi a Roberto Baggio, con il brasiliano che optò per la nove, e quindi all’olandese Clarence Seedorf. Per la stagione 2002-2003, Massimo Moratti riuscì a portare a Milano a parametro zero Domenico Morfeo, trequartista di qualità ma molto discontinuo. In quella stagione, sotto la guida di Héctor Cúper, Morfeo scese in campo appena 17 volte e segnò un solo gol. Però, allo stesso tempo, si ritagliò un suo spazio in Champions League: nella massima competizione europea, Morfeo raccolse altre dieci presenze e realizzò una rete contro il Newcastle. Al termine della stagione, lasciò l’Inter per accasarsi al Parma.

I numeri dieci del decennio senza trofei

Dopo l’epoca di Adriano e Sneijder, condita da trofei nazionali e internazionali, l’Inter non ha più vinto nulla fino all’avvento di Lautaro Martínez e Antonio Conte. Ma chi sono stati i dieci di questo periodo avaro di gioie per i colori nerazzurri?

A raccogliere la pesante eredità lasciata dal talento di Utrecht fu Mateo Kovačić. Il giovane croato, dopo i primi mesi di ambientamento in cui le sue prestazioni furono altalenanti, regalò prestazioni positive in maglia nerazzurra, al punto da finire nel mirino del Real Madrid di Florentino Pérez che lo portò in Spagna, dopo due stagioni e mezzo, per 29 milioni più bonus.

A prendere il suo posto fu quindi il turno di Stevan Jovetić che, dopo essere esploso alla Fiorentina, venne acquistato dal Manchester City: in Inghilterra il montenegrino non rese come sperato e venne quindi ceduto all’Inter. La prima stagione, nonostante la fatica a trovare la rete, fu tutto sommato positiva per il giocatore ma l’arrivo di Frank De Boer a Milano lo fece finire ai margini del progetto, costringendolo a lasciare l’Italia per tentare la fortuna in Andalusia, al Siviglia.

L’ultimo giocatore che rientra in questa lista di numeri dieci è João Mário. Arrivato all’Inter per 40 milioni più bonus nel 2016, il portoghese fresco campione d’Europa veste inizialmente la maglia numero sei. Dopo una stagione negativa, quello che è ancora oggi il terzo acquisto più costoso della storia della Beneamata, decise di indossare il numero dieci. Nemmeno questa numerazione, però, portò fortuna: João Mário finì in prestito al West Ham per poi tornare e ricoprire, questa volta con il 15 e con qualche risultato in più, il ruolo di riserva nell’Inter di Luciano Spalletti.

Il dieci segreto: Ibra e la maglia mai usata

In questa lunga lista di numeri dieci di successo e no, manca ancora un tassello: Zlatan Ibrahimović. Sì, perché lo svedese, noto nelle sue stagioni all’Inter per la maglia numero otto, in realtà indossò per un brevissimo periodo la numero dieci che era stata di Adriano, appena trasferitosi al Flamengo. Come riportò Sky Sport nel 2012, nell’estate di tre anni prima Mario Balotelli chiese la dieci a José Mourinho che rifiutò di dare all’attaccante azzurro una maglia tanto pesante. Il tecnico di Setúbal decise di consegnare quel numero a Ibra che lo indossò in occasione dell’amichevole contro il Chelsea durante la tournée negli Stati Uniti e poi…salutò per andare al Barcellona. Una situazione che si sarebbe ripetuta al Milan qualche anno dopo: passato dall’11 al 10, lo svedese scappò al PSG per prendere, il primo anno, la 18. Non per tutti, insomma, è o 10 o nulla.

Federico Sanzovo


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